Tutto il tempo del mondo
Testo scritto per il volume di Conceria Presot e Mattia Balsamini nel 2024.
Il lavoro in conceria inizia ogni giorno alle sei. Ogni giorno: inclusi sabati, domeniche, Natale e Primo maggio. Gelide mattine di gennaio e torride giornate di luglio. Federico e suo padre Achille Presot, insieme alla cugina Eugenia discendenti del fondatore Pietro, si concedono una tregua solo durante la chiusura di agosto.
A Federico non pesa. I suoi passi sono leggeri e veloci, e il suo sguardo compiaciuto mentre controlla che tutto abbia funzionato come si deve durante la notte, quando le botti continuano a girare. La conceria non dorme mai.
Poi parte il lavoro vero e proprio. Azioni piccole e precise, come svuotare le botti del lavaggio e del calcinaio e riempirle di nuovo, mentre il silenzio della conceria deserta si riempie dello scrosciare dell’acqua. O controllare la qualità delle acque reflue, prelevandone un campione dalla vasca di scarico e osservandolo al microscopio.
Durante la settimana, attorno alle sette arrivano gli operai.
Si cambiano, indossano guanti gialli e falde impermeabili, e ognuno di loro inizia a fare qualcosa: togliere le pelli dalle botti del lavaggio, accatastarle ordinatamente sul cassone e prepararle per la scarnatura.
Versare i tannini di castagno, quebracho e mimosa nelle vasche, appendere le pelli una a una sulla rastrelliera e calarle lentamente nell’acqua.
Togliere le pelli dalle botti di concia, accatastarle ordinatamente su un altro cassone e portarle alla rasatura.
Riempire di nuovo tutte le botti.
Non c’è bisogno che nessuno spieghi niente.
Nessuna lavagnetta all’ingresso, nessun flusso di attività da seguire sullo schermo di un computer. Il lavoro da fare è sempre lo stesso, una pelle via l’altra.
I macchinari aiutano, ma quasi tutto è eseguito a mano.
Achille dice che i procedimenti sono cambiati pochissimo da quando sono stati messi a punto, nel 1932. Le uniche cose che noterebbe Pietro Presot, classe 1886, rimettendo piede nella conceria che ha fondato, sono i timer che regolano il movimento delle botti.
Di sicuro non noterebbe niente di nuovo salendo all’essiccatoio.
Il tempo lì, in effetti, pare immobile.
Sarà perché la luce è sempre schermata da tende pesanti. O perchè è la zona più silenziosa della conceria – qui non si sentono il gocciolìo delle pelli appena estratte dalle botti, lo schiocco dei gropponi messi uno sopra l’altro, lo stridore delle lame della scarnatrice. E anche la temperatura è insolita, un tepore piacevole e costante.
D’altra parte, è qui che le pelli riposano.
Per il tempo che serve, e non è detto che sia sempre lo stesso. A deciderlo, da più di cinquant’anni, è Achille, guardando il cielo più che le previsioni. Se piove ci vuole qualche giorno in più. Se tira vento di Scirocco, qualche giorno in meno. Si può fare più veloce? No. Se il cuoio Presot ha lo stesso colore ambrato e lo stesso profumo da quasi cento anni non è perché lo fa in serie una macchina. È perché nessuno ha mai saltato un passaggio.
Il tempo, insomma, è una cosa serissima. La grande scritta che galleggia sul lago della conceria, realizzata dall’artista Matteo Attruia per celebrarne i novant’anni, recita “Ha futura memoria”. Presente, passato, futuro. Anzi: presente, futuro, passato. Perché niente più del tempo – quello lineare della storia, quello ramificato dell’albero genealogico di famiglia, quello ciclico delle stagioni e quello circolare del lavoro di ogni giorno – esprime l’essenza della Conceria Presot.